La scrittura ipertestuale nella didattica
1. Nuovi strumenti o nuovi scenari?
Negli ultimi anni Internet si è diffusa a tal punto da influenzare in maniera
più o meno sensibile molti aspetti del costume, della cultura, della vita
quotidiana.
Molti (basti pensare a Pierre
Lévy, o a Seymour
Papert) sostengono che Internet sta cambiando la stessa struttura del
nostro pensiero, e forse non hanno torto, anche se non vogliamo qui avventurarci
in spiegazioni globali. Sicuramente, Internet ha introdotto nel nostro modo di
pensare la prospettiva della "rete", della connessione tra gli
individui e tra i diversi ambiti del sapere, ha introdotto un "pensiero
ipertestuale" (la struttura ipertestuale è l'aspetto principale del Web)
che ha molte implicazioni ed è particolarmente interessante sul piano dell'insegnamento.
Quando analizziamo le applicazioni informatiche dobbiamo
chiederci quali operazioni richiedono e quali abilità mettono in movimento.
Internet e la comunicazione telematica in genere non permettono semplicemente di
acquisire o di scambiare informazioni in modo più rapido che in passato, ma
consentono esperienze che in passato non erano possibili, disegnando scenari che
richiedono/attivano nuove abilità. La diffusione di massa di Internet e l'enorme
crescita della Rete hanno determinato un cambiamento qualitativo del fenomeno:
da semplice strumento per lo scambio di informazioni per la ricerca scientifica,
Internet è diventata un nuovo ambiente che induce cambiamenti e con il quale
deve fare i conti ogni attività, e in modo specifico l'insegnamento.
Il "villaggio globale", la "grande rete", il "mondo
interconnesso", al di là delle metafore più o meno pertinenti, consentono
collaborazioni tra gruppi di lavoro di continenti diversi, permettono di giocare
in borsa a New York stando nella propria casa di campagna, di leggere le prime
pagine dei quotidiani quando ancora non sono in edicola, di curiosare nelle
piazze (e nelle stanze) degli angoli più sperduti del mondo mediante le
centinaia di web-cam sparse ovunque, rendono possibile l'insegnamento a
distanza, l'università virtuale, il telelavoro, la "conoscenza
connettiva", e lasciano immaginare prospettive a breve termine (con i
collegamenti via cavo o via satellite) ricche di ulteriori potenzialità.
Come definire questo scenario? Entusiasmante? Inquietante? Creativo? Caotico? Forse è tutte queste cose insieme, ma qui non interessa una valutazione, bensì un'analisi dei problemi e delle sfide che pone su un piano educativo. Prima di ogni giudizio di valore, bisogna riconoscere che è un fatto che cambia radicalmente il nostro approccio, tra le tante cose, anche al sapere. Lasciando da parte le analisi globali, catastrofiche o entusiaste degli "apocalittici o degli "integrati", come direbbe Umberto Eco, limitiamoci a poche considerazioni concrete.
Il sapere, nell'era di Internet, è sempre più una ricostruzione a partire da una sovrabbondanza di informazioni che devono essere selezionate, rielaborate, riorganizzate. Lo studente è sempre meno tale, cioè colui che studia, ed è sempre più colui che costruisce il proprio sapere. Per far ciò ha bisogno di strumenti, di strategie mentali da applicare alle informazioni. Questo è in misura crescente uno dei compiti centrali dell'educazione.
Il sapere è sempre più interconnesso. "Le scoperte più importanti" diceva molti decenni fa lo storico francese Lucien Febvre, "si fanno nella zona di confine tra più discipline". La "pluridisciplinarietà" può essere feconda se lo studente è in grado di condurre il gioco, di assumere più prospettive di analisi integrandole e producendo sintesi originali, con il pericolo, però, del caos e della confusione sempre alle porte.
Nella misura in cui il sapere diviene sempre più una costruzione "personale", diviene al tempo stesso sempre meno "individuale". Senza rievocare un'intelligenza collettiva, come fa Pierre Lévy, lo scenario che abbiamo tratteggiato rende evidente che ogni testo si inserisce in una rete di riferimenti che lo sostanziano e senza i quali non sarebbe immaginabile. Ciò è stato sempre vero: anche i testi scritti si legano ad altre idee e ad altri testi, contemporanei o meno, mediante riferimenti e fili invisibili. Adesso i fili diventano espliciti e visibili, diventano links, legami "fisici", anche se virtuali, con gli altri testi.
Prima di approfondire la valenza e le conseguenze didattiche della nuova scena in cui si colloca l'insegnamento, sembra però opportuno considerare brevemente l'altra faccia del processo di apprendimento, le caratteristiche dell'attore, dello studente, cioè la psicologia dell'apprendimento. Non si proporrà ovviamente un'analisi esaustiva, ma appena poche note intorno agli aspetti che sembrano maggiormente legati alla scrittura ipertestuale.
2. Come apprendiamo
Parlando di apprendimento appare essenziale chiarire il funzionamento della memoria che è poi il "luogo" nel quale i contenuti dell'apprendimento si sedimentano (o meno). Gli psicologi distinguono (1) tra una "memoria di lavoro" e una "memoria permanente". Registriamo continuamente una molteplicità di eventi che ci servono solo per produrre un determinato comportamento e che vengono poi dimenticati. Ad esempio, quando ascoltiamo qualcuno parlare, registriamo via via le parole che dice, ma una volta compreso il senso del discorso il ricordo delle singole parole non ha nessuna importanza. Altre informazioni passano invece nella memoria a lungo termine e possono essere ricordate anche a distanza di molto tempo. La persistenza dei ricordi nella memoria permanente dipende da una molteplicità di fattori, anche di tipo affettivo o emozionale. Ma l'osservazione che qui maggiormente interessa è che l'efficienza della memoria a lungo termine è legata soprattutto alla elaborazione e alla riorganizzazione dei dati da parte del soggetto.
La memoria non è più considerata come una lastra fotografica che registra passivamente i dati (forse quella di lavoro funziona più o meno in questo modo, ma certamente non quella permanente), ma deve essere intesa come costruzione. Ricordare le informazioni, cioè, è strettamente legato alla loro organizzazione, a come strutturiamo i dati. L'apprendimento dipende dunque da operazioni di concettualizzazione e di organizzazione del sapere.
Con l'espressione memoria episodica ci si riferisce alla memoria che si ha per gli eventi datati temporalmente e per le relazioni tra questi eventi. Per esempio, se si chiede di rievocare qual era il vestito che si era indossato ieri, le informazioni relative vengono richiamate dalla memoria episodica. Analogamente, se si cerca di ricordare se lo scandalo Watergate avvenne prima o dopo il ritiro degli americani dal Vietnam, la ricerca viene fatta nella memoria episodica. Di contro, per memoria semantica si intende la conoscenza organizzata che hanno le persone su parole, simboli, formule, concetti, regole. Essa comprende le conoscenze di base necessarie per la produzione e la comprensione del linguaggio. È il vasto compendio delle informazioni che l'individuo ha del suo mondo, e che non viene riferito a epoche determinate. (2)
Relativamente alla memoria semantica, noi possediamo schemi come sequenze di azioni: ad esempio, come prendere l'autobus, come si costruisce un tavolo, come si saluta una persona; gli schemi sono costituiti da variabili che vengono riempite in vario modo in base alle circostanze. Secondo la teoria semantica, la memoria è costituita da una serie di concetti connessi da relazioni che danno significato ai singoli eventi. I ricordi appresi finiscono cioè per costituire schemi generali utilizzati per organizzare i nuovi ricordi. Le diverse teorie elaborate in relazione alla memoria semantica concordano su alcuni punti importanti. Analizziamo, seguendo ancora gli autori, le caratteristiche di questi "schemi di apprendimento":
«Un'analisi accurata della teoria degli schemi [come definiti da Neisser 1976, e Rumelhart e Ortony 1977] e delle teorie della memoria semantica che abbiamo discusso nel capitolo quarto, indica almeno tre punti importanti di somiglianza tra queste concezioni. In primo luogo, tutti e due i tipi di teoria sostengono che il sistema delle nostre conoscenze deve rappresentare non solo dei concetti o delle idee specifiche, ma anche la vasta rete di relazioni che si ritiene esistano tra i concetti. Di fatto, la teoria degli schemi e diversi modelli della memoria semantica sembrano propendere per un qualche tipo di struttura gerarchica delle conoscenze, sia essa inclusa nei sottoschemi, e nelle complesse strutture del modello a rete di Collins e Loftus. In secondo luogo, in tutti i tipi di teorie si trovano esempi di affermazioni dell'esistenza di un sistema rappresentativo delle conoscenze del mondo, e non di una semplice registrazione del significato dei concetti. In altri termini si afferma che la memoria non può essere assimilata a un elenco di definizioni, ma è piuttosto un indice delle relazioni e associazioni che esistono tra i concetti. Infine, in entrambi i tipi di concezione si afferma la rappresentazione delle conoscenze generalizzate che abbiamo degli oggetti, delle situazioni o degli eventi, e non una conoscenza estremamente specifica, marcata temporalmente, di una situazione o di un evento particolare. Non viene cioè sostenuta l'esistenza di un ampio sistema di registrazione che rappresenti fedelmente una situazione nei più minuti dettagli.» (3)
Tre punti sembrano particolarmente degni di nota per l'analisi della scrittura ipertestuale:
Gli schemi sono caratterizzati non tanto da definizioni o da singole conoscenze, ma dalle relazioni che vengono stabilite tra esse. Gli schemi costituiscono strutture di relazioni che, una volta formate, possono essere applicate a una molteplicità di contenuti.
Gli schemi non vengono assimilati passivamente dall'esperienza o dalla conoscenza, ma sono una costruzione attiva della psiche, e, a loro volta, ricostruiscono e interpretano le conoscenze e le esperienze.
La conoscenza è organizzata in modo gerarchico, comprendente schemi, sottoschemi, ecc., fino ai contenuti anch'essi a livelli diversi di generalità.
Il concetto di schema è già utilizzato in modo intensivo da Piaget, costituendo anzi uno dei nodi centrali della sua proposta teoretica.
Organizzazione cognitiva e adattamento diventano per Piaget
le "invarianti funzionali" che definiscono l'essenza stessa
dell'intelligenza, di quel processo organizzativo attivo autoregolantesi di
assimilazione del nuovo al vecchio e di accomodamento del vecchio al nuovo, il
cui modello è l'equilibrio tra i due momenti, e il suo motore il
"conflitto cognitivo" che si determina quando le strutture esistenti
non sono adeguate all'assimilazione del nuovo. Le strutture o schemi definiscono
le forme, gli stati o stadi dell'equilibrio, mentre lo sviluppo mentale
rappresenta il passaggio da una struttura a un'altra, sempre più evoluta e
stabile.
I punti di forza della psicologia piagetiana, unanimemente
riconosciuti, risiedono nel ruolo attivo assunto dal soggetto nel processo di
costruzione della conoscenza, e nell'interazione tra dati esterni (fattori
"data driven"), strutture e schemi cognitivi (fattori "conceptually
driven"); tali fattori, che contribuirono a qualificare tale psicologia
come "costruttivismo interazionista'', sono stati ripresi e sviluppati dal
cognitivismo, anche attraverso il concetto di schema. (4)
I concetti funzionano fondamentalmente come gli schemi, organizzando l'esperienza e le conoscenze, e anch'essi vengono costruiti, non appresi mediante definizioni.
J. Bruner aggiunge importanti elementi a questo quadro, soprattutto nelle opere che guardano più direttamente al costruttivismo, da Il conoscere. Saggi per la mano sinistra del 1964 a quelle più recenti, in particolare Actual Minds, Possible Worlds, 1986, tr. it. La mente a più dimensioni. In quest'opera prospetta una visione costruttivistica della conoscenza:
Una realtà originaria esterna a noi non la possiamo conoscere, anzi non esiste; la realtà che noi creiamo è il prodotto della trasformazione di una precedente "realtà" che abbiamo assunto come dato. Noi costruiamo molte realtà e lo facciamo sulla scorta di intenzioni diverse. Nel costruire questa realtà [...] utilizziamo la miriade di forme in cui strutturiamo l'esperienza, sia essa l'esperienza dei sensi..., oppure quella, così profondamente codificata in un sistema simbolico, che si realizza mediante l'interazione con il mondo sociale in cui viviamo, o anche quella indiretta che facciamo mediante la lettura. [...] a fare la cultura è l'intesa transazionale sul significato da parte degli uomini, e di uomini armati di ragione e sostenuti dalla fede di poter fare e rifare il significato». (5)
Secondo Bruner, la costruzione della realtà avviene a partire dagli strumenti culturali (in senso antropologico) e linguistico propri di ogni comunità e dallo stile cognitivo caratteristico dei singoli individui. In particolare egli distingue tre sistemi paralleli per elaborare l'informazione: mediante manipolazione o azione, mediante organizzazione percettiva e immagine, mediante apparato simbolico. Ad essi corrispondono tre strategie di apprendimento: endoattivo, iconico, simbolico. Non esiste un'unica modalità di apprendimento, ma ci sono modalità diverse da individuo a individuo o, nello stesso individuo, a seconda dell'oggetto della conoscenza. Ogni individuo applica diverse strategie conoscitive, ognuna delle quali consente di comprendere aspetti dello stesso oggetto che le altre nascondono o pongono in secondo piano.
La teoria di Bruner si ricollega alla psicologia di Vygotskij, a Piaget e a Dewey, ma anche al "costruzionalismo" di Nelson Goodman, alla cui opera si richiama anche il teorico delle "intelligenze multiple" , Howard Gardner. I punti salienti della teoria di Gardner, di particolare interesse per la nostra analisi, sono da lui stesso chiariti in un'intervista, accompagnata da alcune schede sull'autore. Gardner individua sette forme di intelligenza: quella linguistica, quella musicale, l'intelligenza logico-matematica, quella spaziale, quella corporeo-cinestetica, l'intrapersonale e l'interpersonale. Le varie epoche e società hanno privilegiato intelligenze diverse; quella postindustriale, cioè l'attuale, privilegia l'intelligenza logico-matematica, ma proprio per questo sembra opportuno considerare la pluralità di approcci e dare spazio anche alle altre: è il fondamento psicologico di ciò che chiamiamo "creatività" e che costituisce una delle finalità generali dell'educazione.
3. Apprendimento e ipertestualità
In un saggio (6) dedicato al rapporto tra i nuovi media e il pensiero, le autrici analizzano le diverse componenti del costruttivismo, l'indirizzo psicologico più vicino alle nuove forme espressive, e propongono una tesi interessante che evidenzia lo stretto legame tra la sintetica analisi delle teorie dell'apprendimento proposta sopra, e la scrittura ipertestuale: l'ipertesto presuppone un atteggiamento verso la conoscenza che è andato maturando, prima ancora che esistessero macchine o programmi dedicati, in ambito filosofico, a partire da Kant:
Goodman (1978) inserisce il suo pensiero in quella corrente filosofica iniziata con Emanuele Kant e perseguita da Clarence L. Lewis e Ernst Cassirer, che ha via via spostato il focus della speculazione dalla struttura del mondo a quella della mente (Kant), da questa a quella dei concetti (Lewis), e da quest'ultima alla struttura dei diversi sistemi simbolici delle scienze, delle arti e del discorso comune (Cassirer). Il filosofo, proseguendo questo cammino, ritiene che non esiste un unico "mondo reale", preesistente e indipendente dall'attività mentale dell'uomo e dai suoi sistemi simbolici. (7)
Goodman parla, in rapporto alla conoscenza, di una pluralità di "mondi", a seconda delle prospettive e degli strumenti impiegati. Il mondo degli scienziati è diverso da quello degli artisti o della gente comune. Nessuno di questi mondi è più vero di un altro, ma ognuno è "vero" in un determinato contesto e a partire da determinati presupposti. La "verità", nella misura in cui ha ancora senso usare questo termine, è la capacità di abbracciare le diverse prospettive, di tener conto dei diversi "mondi" e degli aspetti che ognuno di esso rivela. È una concezione che richiama da vicino quella popperiana delle teorie come "fari" che illuminano aspetti diversi della realtà.
4. La logica dell'ipertesto
Consideriamo adesso la scrittura ipertestuale (8), alla luce delle teorie dell'apprendimento appena esposte .Le prospettive di Bruner e di Gardner convergono nel sottolineare la pluralità delle strategie di apprendimento che possono essere utilizzate da soggetti diversi. Ma anche nello stesso individuo, in momenti diversi o in rapporto a diversi contenuti, si attivano modalità di apprendimento diverse. Probabilmente gli strumenti tradizionalmente e prevalentemente utilizzati nella comunicazione scolastica, la "spiegazione" orale e il testo scritto (o gli esercizi scritti) privilegiano una o due modalità, marginalizzando le altre. Spiegazione orale e testo scritto si caratterizzano per l'andamento sequenziale (un passo dopo l'altro) e argomentativo (ogni passo sviluppa il precedente e prepara il successivo). L'ipertesto, invece, consente di utilizzare più registri comunicativi e più strategie di apprendimento: possibilità di far interagire testo, immagini e suoni; possibilità di seguire catene argomentative o di passare immediatamente da un punto all'altro saltando i passaggi intermedi, come avviene nell'intuizione; possibilità di seguire/costruire percorsi diversi, diverse modalità per affrontare lo stesso argomento, ecc.
Nel saggio Iperscuola. Tecnologia e futuro dell'educazione (9) Antonio Calvani intitola uno dei capitoli: «Ipertesti metafore della mente», motivando il titolo con queste osservazioni:
La scrittura è una proiezione dell'io. Scrivere è gettare sulla superficie di scrittura ciò che lo scrittore ha in mente. Però l'io acquista consapevolezza riflettendosi nella scrittura. Oggi è la scrittura ipertestuale a fornire un'ulteriore suggestione. Colpisce la somiglianza, almeno esteriore, tra ciò che avviene sul computer, il gioco degli intrecci ipertestuali che si consumano sullo schermo con le forme proprie del pensiero. Che cosa accade nella mente quando si pensa? Certamente abbiamo a che fare con parole ed immagini che vengono disposte a comporre un tessuto; immagini e parole, variamente collegate corredano quel discorso interiore in cui filosofi e psicologi hanno da sempre visto l'essenza del pensiero e della coscienza. L'ipertesto, il reticolo associativo aperto di parole ed immagini si propone oggi come metafora del pensiero. Esso dà oggettività ad un aspetto essenziale della mente, il mettere in relazione in un'ottica polivalente ed aperta. (10)
Occorre premettere che «ipertesto» è un termine molto generico, equivalente come estensione a «testo scritto». Quando parliamo di valenza didattica della scrittura ipertestuale ci riferiamo a un suo uso corretto e a ipertesti ben costruiti. D'altra parte, così come si impara (e si insegna) a scrivere bene, sembra opportuno che la scuola insegni anche a usare bene la scrittura ipertestuale. E, sviluppando l'analogia, così come l'insegnante di filosofia non insegna a scrivere in senso generale, ma insegna a sviluppare testi argomentativi e a organizzare in modo logico l'esposizione, allo stesso modo non spetta, o non dovrebbe spettare, all'insegnante di filosofia insegnare l'uso della scrittura ipertestuale, ma egli dovrebbe occuparsi in modo specifico della costruzione di ipertesti ben strutturati dal punto di vista logico. Conviene però aggiungere che la scrittura ipertestuale ha, per la sintassi stessa che le è propria, una valenza logica più immediata della scrittura sequenziale. In un certo senso gli ipertesti che sono davvero tali, cioè che sono ben costruiti, incorporano necessariamente una struttura logica, connessa alla sintassi del legame ipertestuale e alla necessità di organizzare in una struttura reticolare i contenuti, necessità assente, in quanto tale, in un testo sequenziale.
Consideriamo in modo più analitico le diverse fasi della costruzione di un ipertesto per evidenziarne la valenza didattica.
4.1. Progettazione
Non si dovrebbe intraprendere la costruzione di un ipertesto senza averne sviluppato un progetto su carta. Non si può costruire un buon ipertesto senza questa operazione preliminare. Progettare un ipertesto significa in primo luogo stabilire relazioni tra le varie parti, cioè costruire mappe del contenuto. È necessario prevedere due tipologie di mappe:
Una mappa di navigazione, relativa alla struttura complessiva dell'ipertesto. A seconda delle finalità e del tipo di materiale, degli obiettivi e dei destinatari, possiamo optare per una struttura ad albero, o circolare, o a rete, ecc. Ogni struttura ha la sua logica ed è più o meno adatta a determinati fini.
Una o più mappe concettuali, che definiscano le
relazioni e i rapporti tra i diversi concetti. La costruzione di queste
mappe è forse la parte più interessante sul piano didattico. Presuppone
che gli studenti individuino i concetti-chiave che fungeranno da "hot
words", da termini collegati ad altre parti dell'ipertesto. Un
ipertesto senza collegamenti, senza "links", non è ovviamente
tale, perciò la scrittura ipertestuale costringe, a differenza di
quella sequenziale, a individuare e a esplicitare le relazioni tra le
diverse parti. Il link, d'altra parte, pone dei problemi e richiede
delle decisioni. Fa parte della sua sintassi l'esigenza di rinviare all'esterno
del testo, ad altre pagine. Lo studente dovrà perciò stabilire dove
conduce il link, se dalla pagina raggiunta si torna semplicemente a quella
di partenza (in questo caso si tratta di un semplice approfondimento, che
equivale alla nota nel testo a stampa), oppure si prosegue la navigazione
verso altre pagine (e in questo caso dovrà essere chiara la rete
concettuale nella quale si inserisce il termine che funge da collegamento.
Spesso, inoltre, il link è collocato in un'immagine o in una
porzione di immagine, imponendo interessanti riflessioni sul rapporto tra
rappresentazione iconica e discorso testuale.
4.2. Navigazione
Il progetto deve prevedere anche una serie di modalità e di strumenti di navigazione. Dato che l'ipertesto non è sequenziale, il lettore deve potersi spostare all'interno di esso secondo modalità diverse. Queste modalità devono essere previste e permesse da chi compone l'ipertesto, attraverso una serie di strumenti quali i links, la barra di navigazione (un insieme di pulsanti che consentono di raggiungere le diverse sezioni dell'ipertesto), pulsanti interni alle pagine, ecc. Le operazioni richieste per predisporre le modalità di navigazione sono fondamentalmente di due tipi:
Occorre aver chiara la struttura complessiva dell'ipertesto e la sua articolazione interna. Ad esempio, alcune parti potranno essere "navigate" in modo ramificato, con la possibilità di scegliere percorsi alternativi, mentre altre dovranno essere percorse in modo sequenziale perché sono momenti di un discorso unitario che si sviluppa per più pagine. Gli strumenti di navigazione dovranno essere adatti alla struttura logica delle diverse sezioni.
Occorre predisporre e prevedere una serie di possibili approcci all'ipertesto, a seconda che il lettore scelga l'una o l'altra delle alternative offerte. Detto in altri termini, occorre che lo studente pensi l'argomento da una pluralità di punti di vista, elaborando diverse prospettive, diversi modi di analizzare lo stesso argomento. Un ipertesto che presenti una serie di pagine in successione, legate da un pulsante che rinvia ogni volta alla pagina successiva, non è evidentemente un ipertesto. Ma nel momento in cui proponiamo anche una sola alternativa (e di solito in un ipertesto ben fatto ce ne sono molte) dobbiamo aver pensato a modalità diverse di affrontare lo stesso tema. Questa caratteristica sintattica dell'ipertesto richiede un approccio critico e pluriprospettico all'argomento, prima di tutto da parte di chi scrive l'ipertesto, rendendo necessaria un'operazione che ogni insegnante auspica e cerca di costruire. Ovviamente ci sono tanti altri strumenti per formare lo spirito critico, ma la scrittura ipertestuale in un certo senso lo impone per le sue stesse caratteristiche.
4.3. La struttura gerarchica dei contenuti
Un'altra caratteristica dell'ipertesto, importante per la valenza didattica, è la necessità di strutturare in modo gerarchico i contenuti. Elaborando il progetto è necessario prevedere quali sono le parti importanti, quelle che il lettore dovrà percorrere per comprendere l'insieme, e quali gli approfondimenti, che potrà decidere se consultare o meno. Di conseguenza, il materiale inserito nell'ipertesto dovrà essere strutturato a livelli: di solito un ipertesto contiene anche documentazioni e approfondimenti non essenziali per comprendere il significato complessivo. Nel progettarlo, lo studente dovrà prevedere questi diversi livelli, cioè dovrà imparare a organizzare il materiale in modo gerarchico. Come è intuibile, anche questa è una delle abilità che l'insegnante cerca di formare e che si traduce in ciò che si chiama abitualmente "metodo di studio", o, più in generale, metodo di rielaborazione dei dati.
5. Il testo aperto
In molti casi, anche se non necessariamente, l'ipertesto è suscettibile di espansione. La struttura non sequenziale e l'organizzazione a livelli lo rende disponibile per integrazioni successive. Possono essere aggiunte altre aree, semplicemente creando nuovi links, o altri livelli di documentazione. Queste caratteristiche ne fanno uno strumento ideale per la collaborazione, sia all'interno di una classe, sia tra classi diverse, non necessariamente della stessa scuola. Internet rende possibili progetti di collaborazione tra persone lontane nello spazio, perché ridefinisce il concetto stesso di spazio. Esso non è più riferito alla distanza, allo spazio geometrico, ma alla interconnessione. Studenti italiani e brasiliani, ad esempio, connessi in rete, sono più "vicini" di studenti della stessa regione o della stessa città che non abbiano accesso a internet.
Nella possibilità di collaborazione favorita dalla scrittura ipertestuale sono da evidenziare due componenti importanti dal punto di vista educativo:
La possibilità stessa di sviluppare un progetto comune, anche all'interno di una stessa classe o di classi dello stesso istituto, sulla base di una struttura, quella ipertestuale, capace di dare una logica unitaria ai diversi apporti.
La possibilità di collaborare a progetti unitari con altri Paesi, con vantaggi didattici evidenti per quanto riguarda lo studio delle lingue, ma non trascurabili neppure per le altre materie, perché può mettere in evidenza i diversi approcci seguiti in Paesi diversi verso le stesse discipline.
L'ipertesto è un "testo aperto" anche in un'altra accezione. Nel saggio Du texte à l'hypertexte: vers une épistémologie de la discursivité hypertextuelle, Jean Clément, professore presso il Département hypermédias dell'Università Saint Denis (Paris 8), distingue tra non-linearità e discontinuità. La prima, caratteristica ad esempio un tempo dei romanzi di appendice e oggi delle «telenovelas», consiste nella narrazione di storie parallele, che si intrecciano in vario modo, per cui il racconto risulta ramificato in una serie di sotto-racconti. La discontinuità, propria invece della scrittura ipertestuale, ma anche di alcune opere di Nietzsche, di Wittgenstein o di Roland Barthes, si caratterizza per l'assenza di uno sviluppo sistematico, per la presentazione di idee e concetti legati da un significato non esplicitato, che il lettore stesso deve costruire. L'ipertesto è per sua natura discontinuo. Alla pluralità di interpretazioni possibili, caratteristica di ogni testo, si aggiunge nell'ipertesto la pluralità di ricostruzioni possibili, di percorsi semantici che il lettore stesso impone al materiale che gli viene offerto. Passando dalla parte del lettore a quella dello scrittore, lo studente che compone un ipertesto deve necessariamente (perché il mezzo stesso lo impone) analizzare l'argomento da una pluralità di prospettive possibili, percorrerle possibilmente tutte o almeno percorrerne alcune, definirne le connessioni e le complementarietà, o al contrario le incompatibilità e le fratture. Ma non è forse tutto questo ciò che intendiamo parlando, tra le finalità principali dell'insegnamento della filosofia, della "necessità di formare uno spirito critico" e la "capacità di analizzare i problemi"? Non intendiamo forse solo questo, ma indubbiamente la scrittura ipertestuale sembra favorire, per la sua stessa sintassi, un pensiero critico e un'analisi multiprospettica.
6. La terza dimensione
L'ultima caratteristica della scrittura ipertestuale è forse anche quella più interessante, e soprattutto quella che segna la differenza principale rispetto alla scrittura sequenziale. Quando si pensa alla scrittura ipertestuale si dimentica a volte che Internet stessa è un grande ipertesto, o un insieme di ipertesti, e che, per la sua stessa sintassi, un ipertesto può collegarsi ad altri materiali, relazionandosi al sapere comune e condiviso che caratterizza il Web. Tutto il Web è un grande ipertesto e possiamo quindi collegare il nostro con altri materiali presenti in rete, come avviene anche in questo saggio che rimanda a diversi documenti in rete per una serie di approfondimenti. In questo modo il testo acquista una terza dimensione, "uscendo" continuamente da sé per suggerire nuovi sviluppi o inglobando dentro di sé altri contributi. L'aspetto più interessante di questa operazione è che il nostro testo si collega con tanti fili a quelli di altri, inserendosi in un dibattito e in una elaborazione di dimensioni più ampie. È una possibilità che fa immaginare interessanti sviluppi.
Immaginiamo un futuro molto prossimo in cui molti, come già fanno alcuni, scriveranno un articolo o un saggio mentre sono connessi ad Internet. Si sta trattando un argomento e si fa una veloce ricerca per individuare i riferimenti più interessanti, si cita un testo e si inserisce un link ad sito web che lo presenta mediante una scheda bibliografica, o un filosofo e si inserisce un collegamento a una sua intervista presente in rete. Il testo si ramifica, si dilata, si collega ad un'università australiana, a un sito di uno studente statunitense, a un web dell'Università di Bologna, a un liceo francese.
Gli studenti che sviluppano il proprio ipertesto e cercano in Internet materiale di documentazione e di approfondimento rinviando ad esso mediante dei links, compiono operazioni interessanti:
si confrontano, sia pure spesso a un livello molto semplice, con il dibattito mondiale su un determinato argomento, prendendo coscienza di quello che è stato fatto e detto in proposito, della pluralità delle posizioni, dei possibili sviluppi della loro ricerca, dei possibili approcci;
inseriscono il loro lavoro in un contesto più ampio, "situandolo", collegandolo ad altri lavori simili, divenendo consapevoli dello sfondo su cui si colloca e, in una certa misura, dando un contributo al problema affrontato;
esplorano le possibili connessioni tra il sapere specifico oggetto dell'ipertesto e gli altri saperi;
rendono il testo tridimensionale, esplicitandone i possibili sviluppi e i possibili itinerari di approfondimento, in modo che il lettore possa proseguire il cammino al di fuori del testo, per ritornare poi al testo stesso, seguendo un circolo ermeneutico di nuovo tipo che arricchisce il senso e l'interpretazione dei problemi affrontati. La stessa operazione viene effettuata dall'autore, che in più, dovendo scegliere tra i molti links in genere disponibili, assume un atteggiamento costruttivo e critico nei confronti del tema trattato.
L'ipertesto è dunque una scrittura "aperta", che può collegarsi ad altri lavori, indicare i "luoghi virtuali" di eventuali approfondimenti, inserirsi in progetti e ricerche di più ampio respiro. Quando si parla di sapere interdisciplinare (e multidisciplinare, pluridisciplinare, ecc.), della necessità di collegare i diversi "saperi" e del ruolo privilegiato che la filosofia, per la sua stessa natura metacognitiva e perché ha come oggetto la struttura epistemica di un'epoca, ci riferiamo probabilmente ad operazioni di questo tipo. O, più precisamente, le finalità ricordate possono (debbono?) essere tradotte in operazioni di questo tipo.
7. Conclusioni
Sembra lecito concludere che le abilità sviluppate dalla scrittura ipertestuale rientrano tra le finalità formative attribuite in generale all'insegnamento, soprattutto per quanto attiene allo sviluppo di un pensiero critico, capace di analizzare i problemi da una pluralità di punti di vista e di riorganizzare in modo consapevole le proprie conoscenze. La scrittura (e il pensiero) ipertestuale costituisce il naturale momento privilegiato dell'integrazione dei saperi in una struttura unitaria.
Ovviamente l'ipertesto è pur sempre uno strumento e non
tocca i problemi centrali dell'insegnamento, ma il contributo che può dare non
è solo strumentale (apprendere una nuova abilità che comunque nel mondo
contemporaneo ha la sua importanza). Infatti può contribuire a sviluppare un
"pensiero ipertestuale", che non nasce però solo nell'ambito della
scrittura informatica, ma riguarda l'impostazione generale dello studio e della
rielaborazione delle conoscenze. Si può "pensare ipertestualmente"
senza mai avvicinarsi a un computer e si può "pensare linearmente"
passando giornate intere davanti al monitor. Per questo, la riflessione sulla
scrittura ipertestuale non riguarda solo la produzione di ipertesti, ma tocca
problemi non marginali della didattica e dell'insegnamento in generale.
NOTE
1. NOTA: Vedi Danny R. Moates e Gary M. Schumacher, Psicologia dei processi cognitivi, Il Mulino, Bologna, 1983, pp. 119 sgg.
2. Ivi, p. 124.
3. Ivi, p. 299
4. Ivi, p. 125; per una scheda sintetica sugli schemi, si veda: http://www.gwu.edu/~tip/schema.html
5. J. Bruner, La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 191-192.
6. Bianca Maria Varisco e Lucia Mason, Orientamenti per la didattica in prospettiva multimediale e cognitivista, Torino, Società Editrice Internazionale, 1989.
7. Ivi, p. 14
8. Una presentazione agile dell'ipertesto, completa di definizioni e di indicazioni sugli strumenti informatici per realizzarli, è disponibile nella sezione "Filosofia & Scuola" del sito dello SWIF.
9. Padova, Franco Muzzio Editore, 1994.
10. Ivi, p. 53.
Bibliografia
Mente umana mente artificiale, a cura di Riccardo Viale, Milano, Feltrinelli, 1989, pp. 361.
George P. Landow, Ipertesto. Il futuro della scrittura, a cura di Bruno Bassi, Bologna, Baskerville s.r.l., 1993, pp. 275.
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