Pubblicati postumi a Parigi nel 1842 (ma un segmento del primo canto aveva visto la luce a Berlino nel 1840), i Paralipomeni della Batracomiomachia, che Giacomo Leopardi scrisse e dettò negli ultimi anni di vita, sono la continuazione della materia della Batracomiomachia pseudo-omerica. L’antico poemetto (III secolo a.C.), narrazione della guerra, durata un solo giorno, fra topi e rane (alle quali, negli ultimi versi, portano aiuto i granchi), era una parodia del genere epico classico, e godette di notevole fortuna, con un gran numero di versioni e rifacimenti; Leopardi lo tradusse per tre volte, in sestine. Adottando l’ottava del poema cavalleresco, il poeta mette in scena, nei Paralipomeni, le vicende del conflitto fra topi e granchi (le rane rimangono sullo sfondo), con frequenti allusioni alla realtà contemporanea, a episodi recenti, a personaggi di rilievo. Al di là della finzione zoomorfa, i topi sarebbero i liberali, generosi fautori di idee di libertà e progresso ma, nella sostanza, vanagloriosi e inconcludenti; i granchi, le forze sopraffattrici della reazione dopo il Congresso di Vienna; le rane, le milizie pontificie, o delle monarchie restaurate. L’intreccio si apre a riflessioni in chiave filosofica e politica, ma anche a digressioni comico-fantastiche e a inserti caricaturali, ed è senza una vera conclusione; l’autore ricorre infatti all’espediente della mancanza di carte e documenti necessari a portare a termine il racconto. Un tempo scarsamente apprezzati dalla critica, o visti al più come esercizio propedeutico alla poesia altissima della Ginestra, i Paralipomeni (dei quali si presentano qui i primi due canti, che alternano con efficacia i vari registri) occupano un posto di assoluto rilievo nel quadro dell’attività letteraria dell’ultimo Leopardi; la stessa fisionomia (otto canti, tremila versi esatti; dieci volte la Batracomiomachia) ne fa un unicum del tutto originale e autonomo. Assunto l’abito del «mal pensante» («Dirovvi il parer mio da mal pensante / Qual da non molto in qua son divenuto», V, 24.3-4), Leopardi rifiuta i dogmi dell’antropocentrismo e di una visione provvidenzialistica della natura, e guarda con distacco e amara, divertita ironia alle cospirazioni settarie, al fiducioso riformismo sociale, al mito illusorio dell’incivilimento. La satira non risparmia le forme di governo monarchico-costituzionale, le manifestazioni del pensiero spiritualista e di quello liberale, i princìpi fondativi della Restaurazione; di un’epoca, cioè, che aveva rinunciato alle verità del Settecento dei Lumi e alla lezione di civiltà del Rinascimento. William Spaggiari ha insegnato Letteratura italiana nelle Università di Parma e di Milano. Tra i suoi volumi: L’eremita degli Appennini. Leopardi e altri studi di primo Ottocento (2000); 1782. Studi di italianistica (2004); Carducci. Letteratura e storia (2014); Geografie letterarie. Da Dante a Tabucchi (2015); Dante nel Sette-Ottocento. Note e ricerche (2022). Ha pubblicato edizioni critiche o commentate di scritti di Algarotti, Metastasio, Giordani, Leopardi, Carducci; delle Lettere sulla questione meridionale (1863) di Antonio Panizzi (2012); degli scritti danteschi (Elogio di Dante, 1783. Lettera sopra Dante, 1801) di Giuseppe Luigi Fossati (2021). Sua la curatela, con Aurelio Sargenti, del volume Alessandro Manzoni e la Svizzera italiana. Una antologia di testi (2023).
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